La sindrome di brugada

Approfondimenti

La sua storia

Nel 1987 il professore Andrea Nava con altri cardiologi evidenziava alterazioni all’elettrocardiogramma (ECG) di persone decedute per morte improvvisa. Nel 1992 i fratelli Pedro e Josep Brugada riportarono la storia di 8 pazienti con ripetuti episodi di arresto cardiaco che avevano in comune un particolare aspetto dell’ECG; blocco di branca destro con sopraslivellamento del tratto ST nelle derivazioni da V1 a V3 che non poteva essere spiegato da cause allora note (alterazione degli elettroliti nel sangue, ischemia, ecc). Da allora gli studi condotti hanno consentito di definire, almeno in buona parte, le cause della malattia, i meccanismi di innesco delle aritmie gli esami da effettuare per una diagnosi precoce e le procedure per essere protetti.

Da cosa è causata?

L’anomalia nella sindrome di Brugada è causata da mutazioni su geni codificanti i canali ionici della membrana cellulare, ovvero strutture che garantiscono il normale funzionamento elettrico di una cellula durante le fasi di riposo e attivazione. Negli ultimi anni sono state identificate oltre 500 mutazioni su diversi geni. Il gene prevalentemente coinvolto, ed anche il primo ad essere stato scoperto, è SCN5A, codificante per una sub-unità di un canale del sodio. Purtroppo solo nel 20/30% dei si può evidenziare tale anomalia.

E' una malattia rara?

La prevalenza stimata globale della sindrome di Brugada varia da 5 a 20 casi ogni 10.000 abitanti nel mondo, e la sindrome è considerata endemica in Asia – Sud Est Asiatico. La prevalenza stimata in Europa è di circa lo 0.05%.

La morte cardiaca improvvisa si manifesta più frequentemente nei giovani maschi (il rapporto maschi: femmine è di 8:1) con età compresa tendenzialmente tra i 30 e 40-50 anni. In casi molto rari ma al tempo stesso particolarmente gravi, l’esordio dei sintomi può avvenire in età pediatrica. La morte cardiaca improvvisa è generalmente causata da una tachicardia ventricolare polimorfa o una fibrillazione ventricolare, che si innescano tipicamente durante il sonno o nel riposo.

Si stima che la sindrome di Brugada sia responsabile di circa il 20% delle morti improvvise nei soggetti con cuore sano e del 4% di tutte le morti improvvise.

Come si diagnostica?

Il riscontro all’ECG di un pattern di Brugada di tipo 1 (quando non esistono altre condizioni che possano spiegare l’alterazione dell’ECG) è sufficiente a porre la diagnosi.
In questo caso per accertare la malattia non occorre quindi che siano presenti sintomi o alterazioni genetiche. In molti pazienti affetti da sindrome di Brugada l’ECG si modifica in modo dinamico, sia battito battito sia durante il ciclo sonno-veglia, sia in alcune circostanze isolate. Questo significa che l’alterazione elettrica può essere presente in alcuni momenti, ed essere quindi visibile all’ECG, e normalizzarsi in altri, mascherandosi. La presenza del “pattern” tipo 1 tipico della malattia anche in un solo ECG, è sufficiente per porre diagnosi.

Nei pazienti che non presentano un pattern di tipo 1 all’ECG standard, è possibile eseguire l’ECG posizionando gli elettrodi delle derivazioni precordiali a livello degli spazi intercostali più “alti”. Talvolta il pattern di tipo 1, che consente la diagnosi, è visibile solo eseguendo la registrazione in questo modo. Qualora il pattern di tipo 1 non dovesse evidenziarsi né con l’ECG modificato, né con l’Holter delle 24 ore (eseguito sempre con le derivazioni precordiali modificate), ma ci sia un tracciato dubbio o borderline, oppure ci sia una familiarità per sindrome di Brugada o per morte improvvisa o un forte sospetto clinico è possibile eseguire un test farmacologico che “smascheri” la malattia, inducendo il pattern di tipo 1. Il test si esegue con l’infusione endovenosa di un farmaco che blocca i canali del sodio (flecainide o ajmalina), amplificando il difetto di base della malattia (se presente). Tale test si effettua in ambiente ospedaliero con monitoraggio elettrocardiografico continuo e prendendo tutte le precauzioni necessarie a garantirne la sicurezza. In caso di test negativo (soprattutto se eseguito con ajmalina), e cioè quando il pattern di tipo 1 non si manifesta, la diagnosi di malattia è esclusa.

Come si presenta?

La sindrome di Brugada può decorrere:
– senza alcun sintomo per anni o per tutta la vita
– in alcuni casi purtroppo esordisce con un’aritmia fatale e quindi morte improvvisa
– talvolta il sintomo di esordio è una sincope, ovvero improvvisa caduta a terra con perdita di coscienza dovuta a un ridotto afflusso di sangue al cervello causata da aritmia che fortunatamente termina in modo spontaneo con ripresa dello stato di vigilanza.

Un elemento che caratterizza la malattia è la familiarità essendo una malattia genetica ereditaria; non è un sintomo ma la presenza di persone con morte improvvisa (tipicamente nel sonno) o comunque in circostanze non spiegate

Un ultimo aspetto da non trascurare, messo in luce nel corso degli ultimi anni, è quello di una possibile associazione tra sindrome di Brugada ed epilessia. In letteratura scientifica sono riportati casi di sindrome di Brugada in pazienti con epilessia, ed è stato ipotizzato che mutazioni di geni che codificano per i canali ionici possano determinare malfunzionamento degli stessi sia a livello cardiaco che cerebrale. Purtroppo, non tutti gli episodi di perdita di coscienza sono facilmente inquadrabili sotto il profilo clinico. Laddove esista una diagnosi di sospetta epilessia con manifestazioni essenzialmente notturne “di tipo morfeico”, gli episodi di perdita di coscienza di origine cardiaca (cioè le sincopi aritmiche) possono essere scambiati per “crisi epilettiche”, con ricadute molto importanti sulla diagnosi e, soprattutto, una stima corretta del rischio di future aritmie potenzialmente fatali.

Quali i rischi?

Il rischio più temibile dalla sindrome di Brugada è quello di sviluppare aritmie maligne e morte improvvisa. I dati dei più recenti studi indicano che l’incidenza di eventi aritmici maligni nei pazienti asintomatici è dello 0.5-1.2% ogni anno. È molto importante prestare attenzione a due elementi.
Il primo è che questa percentuale rappresenta una sorta di “media”, comprendendo cioè persone a rischio bassissimo e persone a rischio intermedio o elevato.
Il secondo è che il rischio indicato è un rischio annuo, che deve essere necessariamente proiettato nel tempo: per avere un’idea corretta del quadro generale, dobbiamo cioè “sommare” il rischio di tutti gli anni a venire (un tipo di rischio che viene definito “cumulativo”).
Ciò che rende complessa la gestione clinica di questa malattia è proprio l’accuratezza con cui siamo in grado di prevedere chi svilupperà aritmie e chi invece no. Fortunatamente, esistono alcuni “indicatori di rischio” capaci di orientarci.

Il pattern di tipo 1 spontaneo (ovvero presente in condizioni basali, e non solo dopo test farmacologico), è il primo importante indicatore. Secondo le attuali conoscenze, tra i pazienti asintomatici, coloro che hanno un pattern di tipo 1 spontaneo hanno un profilo di rischio più alto rispetto a quelli che hanno il pattern indotto da ajmalina o flecainide.

La sincope (ovvero l’improvvisa perdita di coscienza dovuta ad un ridotto afflusso di sangue al cervello) è un “cattivo indicatore”, cioè un elemento associato ad un più elevato rischio di aritmie fatali nel futuro. La logica alla base di questa previsione è piuttosto intuitiva: una sincope in questa malattia è molto verosimilmente dovuta ad un’aritmia che è fortunatamente terminata in modo spontaneo, cioè si è risolta da sé. Tuttavia, il rischio che questo evento possa ripetersi è evidentemente molto elevato.

La familiarità per morte improvvisa è un indicatore dibattuto. Nonostante si guardi con una quota di comprensibile preoccupazione a quei pazienti con sindrome di Brugada che abbiano tra i familiari di primo grado uno o più casi di morte improvvisa, la storia familiare non è univocamente ritenuto un “predittore” di eventi avversi in letteratura scientifica.
Uno strumento utile nella stratificazione del rischio aritmico è lo studio elettrofisiologico endocavitario (SEE), sebbene i risultati riportati in letteratura scientifica abbiano alimentato e continuino ad alimentare opinioni divergenti tra gli studiosi.
Lo studio elettrofisiologico endocavitario è un esame che si esegue in una sala di elettrofisiologia, in regime di ricovero ospedaliero. Solitamente è necessaria la sola anestesia locale. Mediante una puntura a livello dell’inguine si inserisce nella vena femorale un elettrocatetere, che viene avanzato fin dentro il cuore. Una volta posizionato, si eseguono delle stimolazioni elettriche del cuore (indolori) secondo un protocollo stabilito, “simulando delle extrasistoli”. In questo modo, si verifica se (e con quale facilità) vengono indotte aritmie maligne. Le eventuali aritmie che dovessero essere provocate durante lo studio vengono interrotte immediatamente. La facile inducibilità di aritmie potenzialmente fatali (la tachicardia ventricolare polimorfa o la fibrillazione ventricolare) è un indicatore complessivamente sfavorevole.

Quali terapie esistono?

Allo stato attuale delle conoscenze, non esiste una cura definitiva per la sindrome di Brugada.
Le terapie disponibili sono principalmente volte a ridurre il rischio di aritmie cardiache e morte improvvisa. L’unica terapia salva-vita è il defibrillatore impiantabile, un dispositivo che monitora costantemente il ritmo del cuore e, qualora insorgano delle aritmie maligne, interviene tempestivamente con uno shock elettrico per interromperle.
Esistono due tipologie di defibrillatore, quello trans-venoso e quello sottocutaneo.
Il defibrillatore trans-venoso è simile ad un pacemaker, ed è costituito da un sistema di uno o più elettrocateteri che vengono posizionati all’ interno del cuore (simili a dei “fili” elettrici che registrano il segnale del cuore) collegati ad una batteria (generatore), che viene posizionata solitamente sotto la cute della zona pettorale sinistra, al di sotto della clavicola (figura A).
Il defibrillatore sottocutaneo invece non prevede il posizionamento di “fili” all’ interno del cuore ma nel tessuto sottocutaneo, con la batteria posta sul lato sinistro del torace, in una tasca formata dai muscoli della gabbia toracica (figura B).
La scelta del tipo di defibrillatore dipende dalle caratteristiche del paziente e da alcuni “requisiti di compatibilità”.
Il defibrillatore impiantabile, nella Sindrome di Brugada, è consigliato ai pazienti che abbiano già avuto un arresto cardiaco o un’aritmia pericolosa per la vita (tachicardia ventricolare o fibrillazione ventricolare). Inoltre, è fortemente consigliato anche nei soggetti che abbiano avuto perdite di coscienza “sospette” o episodi di “respiro agonico notturno”.
Il defibrillatore è inoltre consigliabile nei pazienti in cui lo studio elettrofisiologico endocavitario abbia mostrato una elevata “vulnerabilità” del cuore alle aritmie cardiache.

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