News

Inauguriamo!

Dal dolore alla speranza: nasce l’associazione Lollo per la sindrome di Brugada
di Anna Chiara Filice

Roma – Dolore, perché tutto ha inizio con la morte di Lorenzo, “Lollo” per gli amici. E speranza, perché da questo dramma nasce la speranza che “non accada più a nessuno dei nostri figli”.

È con le parole di Giorgio Semprini, papà di Lollo, che iniziamo a ripercorrere l’inaugurazione dell’associazione “Lollo per la sindrome di Brugada”, avvenuta ieri nella suggestiva location del Baja, sulle sponde del Tevere a Roma. “La nostra vita è come questo fiume”, mi dice Giorgio. “Tutto scorre all’apparenza sempre uguale. Sta a noi fare la differenza, sta a noi provare a trasformare il dolore in bene”.


Di che dolore parliamo?

La notte del 19 luglio 2017 avviene ciò che nessun genitore avrebbe mai voluto: Lorenzo, 30 anni appena compiuti, medico specializzato in Cardiologia la settimana precedente, ha un arresto cardiaco che lo strappa ai suoi affetti e alla vita.

Per anni ha convissuto con una diagnosi sbagliata, quella di epilessia. In realtà, con indagini cliniche effettuate dopo la morte, si scopre che Lollo era affetto dalla sindrome di Brugada, difficile da diagnosticare nel caso di un giovane con un cuore morfologicamente sano.

“La tragedia successa a me e a Patrizia, o può abbattere una famiglia in maniera drammatica, oppure può essere il carburante per nuove iniziative che non ci saremmo mai aspettati, per provare a evitare che altri vivano quella stessa esperienza di dolore inutile. Se si riesce a trasformare il dolore in bene, allora è utile. La nostra associazione vuole essere d’aiuto per evitare quel dolore in maniera propositiva”.

Scopriamo l’associazione

Prevenzione, supporto e ricerca: sono i pilatri che reggono l’iniziativa di cui parla Giorgio, l’associazione intitolata al figlio inaugurata ieri dopo due anni di preparativi. Come ha spiegato Francesco, fratello minore di Lorenzo, nella presentazione dedicata alle attività, “Lollo per la sindrome di Brugada” vuole essere un centro di aggregazione per la ricerca medica sulla patologia: l’obiettivo è dare sostegno ai malati, fare prevenzione, delineare diagnosi tempestive, erogare corsi in scuole, palestre e centri sportivi per formare quante più persone possibile all’utilizzo di un defibrillatore e alla pratica del massaggio cardiaco, l’unico atto che può davvero salvare la vita in caso di arresto cardiaco. L’organizzazione di volontariato fornisce un supporto continuo tramite mail o telefono a tutti coloro che vi si rivolgono e nei prossimi mesi attiverà un servizio di consulenza cardiologica su appuntamento. “C’è bisogno del sostegno di tutti”, sottolinea.


A novembre l’associazione ha ottenuto l’adesione al circuito delle “Associazioni in Rete” di Telethon. In parallelo, si avvale della collaborazione di altre organizzazioni, come quella del dott. Alessandro Trevisan e della dott.ssa Anna Maria della Corte, medico d’urgenza il primo e pneumologa la seconda. La loro organizzazione opera da 25 anni a livello nazionale per i corsi di rianimazione cardio-polmonare e per l’abilitazione all’utilizzo del defibrillatore. La settimana scorsa si è tenuto il primo corso BLS-D (Basic Life Support Defibrillation) che ha visto la partecipazione di 8 allievi, tra personale medico e non.

I momenti successivi ad un arresto cardiaco, spiega il dott. Trevisan, “sono i più critici. Tutti dovremmo essere in grado di effettuare le manovre di rianimazione e disostruzione delle vie aeree perché è fondamentale intervenire subito in caso di arresto”. Dal punto di vista statistico, “in Italia la percentuale di morti improvvise è 1 su 1.000. In Europa è 1 morto ogni 45 secondi. Ovviamente il dato considera non solo i giovani, ma anche gli anziani, i cardiopatici, i soggetti considerati a rischio. La percentuale di sopravvivenza, nel caso in cui venga eseguito il massaggio cardiaco, è triplicata”.

“Quando ti muore un figlio per arresto cardiaco – commenta Giorgio – capisci l’importanza di ogni singolo secondo di vita e il valore che assume un corso sulla pratica del massaggio cardiaco. La rianimazione si gioca nell’arco di cinque minuti. Se sai cosa devi fare, salvi una vita. Io avrei salvato mio figlio, se mi fossi trovato presente in quel momento”.

Il progetto deve la sua esistenza soprattutto alla tenacia di Patrizia Menna, la madre di Lorenzo. “L’associazione nasce – afferma lei – per evitare che un altro ragazzo non arrivi alla diagnosi in tempo. Non si può vivere credendo di avere una malattia, quando invece ne hai un’altra. La speranza è che i medici siano attenti a trovare il bandolo della matassa”.

L’associazione ha un sostenitore di prestigio: il prof. Pedro Brugada, uno dei due fratelli medici che nel 1992 hanno avuto il merito di identificare la sindrome. Ieri il professore è intervenuto in video-chiamata durante l’inaugurazione per esprimere il proprio sostegno e la propria gratitudine alla famiglia Semprini: “Tutta la comunità scientifica è grata alla persona che ha rischiato tutto per dare vita a questo movimento, la dott.ssa Menna, dotata di un calore umano eccezionale, che ha provato a trasformare il dolore che ha colpito la propria famiglia in amore per questo progetto. Un progetto che, come ben potete comprendere, appoggio con tutto il mio cuore. Un progetto che è davvero necessario perché la maggior parte delle persone non conosce questa malattia e una diagnosi tempestiva può salvare molte vite”.

Ciò che possiamo provare a fare in questo momento, ha detto il prof. Brugada, “è informare tutto il mondo, non solo i pazienti, ma tutta la popolazione in generale. Senza escludere i medici, perché persino loro non conoscono tutti i dettagli di questa patologia. Iniziative come quella della famiglia Semprini meritano l’applauso di tutta la comunità medica”.


Cos’è la sindrome di Brudaga e come individuarne i sintomi

L’evento di ieri è stato l’occasione per fare chiarezza sulla sindrome, capire come essa si manifesti e sviluppare una sensibilità ulteriore in modo da intercettare nella propria cerchia di amici e conoscenti gli individui che potrebbero essere a rischio di morte.

Come spiega il prof. Massimo Volpe, primario dell’Unità Operativa Complessa di Cardiologia del Sant’Andrea di Roma, “la sindrome di Brugada è stata identificata tra le possibili cause di morti improvvise solo di recente, negli ultimi 30 anni. È dovuta ad un’alterazione dei canali che consentono l’ingresso di ioni nelle cellule cardiache. Questo le rende più suscettibili di sviluppare aritmie maligne. È una malattia genetica, con una trasmissione ereditaria, che può essere identificata con l’esame dell’elettrocardiogramma”.

“È una sindrome insidiosa”, sottolinea la dott.ssa Roberta Falcetti, del reparto di Cardiologia dell’Ospedale Sant’Andrea, “perché colpisce anche un cuore strutturalmente sano”. Per quanto riguarda la manifestazione di sintomi che possono essere campanelli d’allarme, la dottoressa evidenzia: “Spesso questi pazienti hanno una storia familiare già all’attivo, con casi di morte improvvisa giovanile (decessi sopraggiunti in età inferiore ai 50 anni), generalmente nel sonno e archiviati come morte da infarto. Sono pazienti che presentano storie di morti infantili in culla, aborti ripetuti tardivi (anche al settimo mese) o presunte convulsioni da epilessia. Oltre alla storia familiare, che ha un peso importante nella malattia, dobbiamo considerare i sintomi che generalmente il paziente riferisce. Se è sopravvissuto ad un arresto cardiaco, siamo facilitati. Ma, se così non fosse, anche una perdita di coscienza senza preavviso –  quella che noi definiamo ‘sincope cardiogena’ o svenimento – palpitazioni e crisi convulsive notturne con un respiro agonico, sono sintomi suggestivi di problematiche elettriche”.


Oltre a questo, esistono le indagini genetiche, “ma dobbiamo ricordare che la genetica non ha una specificità assoluta dal momento che solo nel 30% dei pazienti si riesce a individuare il gene che attualmente è il più delle volte incriminato, cioè il gene SCN5A”. Alla diagnosi “si arriva inanellando tutti questi elementi: sintomatologia, storia familiare e un elettrocardiogramma tipico [cioè manifesto]. Altrimenti, in presenza di elettrocardiogramma dubbio, bisogna creare i presupposti per slatentizzare la malattia, far sì che si renda manifesta. Ovviamente in questo caso il lavoro è più complesso, perché esistono tanti elementi che rendono dinamico un ECG: ad esempio, l’orario in cui viene effettuata la registrazione, l’assunzione di farmaci, lo stile di vita. È un ambito paludoso, ma non impossibile da identificare”.

La cosa più difficile da determinare, aggiunge la dott.ssa Elisabetta Baldo, cardiologa all’Ospedale Cristo Re, “è ‘stanare’ coloro che non mostrano l’evidenza della malattia e stabilire il rischio di morte. Esistono dei parametri per stabilire la gravità della malattia che portano alla conclusione obbligata, cioè l’impianto del defibrillatore sottocutaneo”.

Fondamentale è la ricerca medica. Il dott. Pietro Francia, cardiologo al Sant’Andrea, conferma: “La ricerca è divisa in ricerca clinica e di base. Quest’ultima viene svolta su modelli annuali e tenta di capire quali siano i fenomeni elettrici che governano la malattia. La ricerca clinica cerca di individuare i malati che rischiano di più, al punto da doverli proteggere”.

Arrivare ad una diagnosi tempestiva, continua, “è solo il primo passaggio. Poi dobbiamo delineare la stratificazione del rischio, cioè individuare i pazienti affetti che rischiano di andare incontro prima ad un’aritmia e poi ad un arresto cardiaco. Infine eseguire l’impianto. Il nostro compito è capire chi effettivamente ha bisogno dell’intervento. Una volta impiantato, l’apparecchio è ciò che salva la vita. A volte entra in funzione anche 15 anni dopo dall’intervento, altre volte il mese successivo. A prescindere da questo, dobbiamo occuparci anche della manutenzione di questi strumenti ragionando sul lungo termine. Si tratta di un elemento critico perché spesso i malati di Brugada sono molto giovani e avranno bisogno del defibrillatore per il resto della vita”.

Per quanto riguarda la ricerca, il prof. Volpe evidenzia che “la ricerca sta andando avanti per individuare dei farmaci che possano interferire con le aritmie cardiache”, ma al momento l’unica vera soluzione è l’impianto del defibrillatore.


Chi era Lollo

Lorenzo “era un ragazzo eccezionale e uno studente brillante, su cui avremmo investito molto dopo la specializzazione. Per noi è stato uno shock e un grande dolore”. È il ricordo del prof. Volpe, che lo ha avuto come studente. In sua memoria, l’azienda ospedaliera gli ha dedicato il Laboratorio di elettrofisiologia ed elettrostimolazione cardiaca.

Lorenzo era un punto di riferimento e continua a esserlo anche se non è fisicamente presente. Come ha detto il fratello Giuseppe durante la serata, “tutto è iniziato con una fine. Lollo aveva 30 anni, ora ne ha 34. È passato dall’essere fratello, amico, capitano e medico, a faro: un po’ come la lanterna che vedo a qualche chilometro di distanza. Come lei, [Lorenzo] illumina, segna la rotta, dà conforto, suggerisce dove fermarsi, ti aiuta a non affondare, ti dà la speranza”.

Grazie al suo esempio, molti hanno trovato la propria dimensione. “Come mio fratello – racconta Rainer Rossi, ex coinquilino di Lollo – che ha deciso di fare il medico perché voleva assomigliare a lui”. “Hai presente quando da bambini facevamo i quiz della personalità sui social, del tipo ‘Cosa vuoi fare da grande?’”, mi domanda. “Ecco, una volta mio fratello scrisse: ‘Voglio essere come Lorenzo’”, è stata la risposta.

Lorenzo ha lasciato il segno in ogni persona che ha conosciuto, come Alessandro D’Andrea, il portiere della squadra di calcio ASD Virtus Fenice che lui stesso aveva contribuito a fondare. Per tutti, il portiere non è Alessandro, ma “Spider, un soprannome che mi aveva dato proprio Lorenzo. Una volta al termine di una partita, feci una parata incredibile, lui venne sotto la porta e urlò: ‘Ti amo Spider’. Lollo mi ha battezzato, ora tutti mi chiamano così”.


Accanto a coloro che sono cresciuti insieme a Lollo, ci sono persone che lo hanno incontrato per poco tempo, ma ne hanno compreso il carisma e ora vogliono mettersi al servizio dell’associazione. È il caso di Marco Scicchitano, tecnico del reparto di Cardiologia dell’Ospedale Sandro Pertini. “Quello che mi ha sempre colpito di Lorenzo – dice – era il suo saper accogliere tutti. Quando ho saputo dell’iniziativa non potevo rimanere indifferente o girarmi dall’altra parte. Sono diventato papà da poco e ho avvertito la spinta di dover fare qualcosa, altrimenti non mi sarei sentito bene con me stesso. Quindi ho suggerito una collaborazione con l’ospedale per cui lavoro e sembra che la mia proposta possa portare presto buoni risultati”.

Questo vuole essere il fine ultimo del progetto “Lollo per la sindrome di Brugada”: l’amore e l’aiutare il prossimo. “Non vogliamo che ciò che è successo alla nostra famiglia, succeda a un altro ragazzo – ribadisce Patrizia – Vogliamo cercare di mettere insieme i pazienti, i possibili malati e quelli che vivono senza sapere di avere questa spada di Damocle sulla testa, per la quale però si può trovare una soluzione”. Dal dolore, alla speranza.

Vai alla gallery dell’evento 👇