Alessandro
La partita è tirata, di quelle che si decidono all’ultimo. Penultima giornata di campionato, ci servono 3 punti per sperare nella zona playoff. Ma gli stessi punti servono anche agli avversari. Metà del primo tempo, Lollo, il nostro capitano, abbandona il terreno di gioco. Ha la faccia piena di sangue, sembra un po’ frastornato. Ha preso una testata involontaria, ha il sopracciglio completamente lacerato. Il suo apporto era fondamentale in una partita come questa. Lo portano all’ospedale. Subito dopo passiamo in svantaggio, la strada è in salita. Per tutta la partita inseguiamo il pareggio, senza trovarlo. Poi una visione, forse un miraggio, un’allucinazione. Lollo. Era di nuovo lì. Aveva i punti di sutura sul sopracciglio. Era tornato appena in tempo, ultimi cinque minuti. Ed ecco che chiede all’arbitro di entrare, allarga le braccia, chiede palla. Quelle braccia larghe, sembra dire: venite con me, anche se ho un dolore fottuto, sono qui per prendermi cura di voi. Questa è l’immagine cardine, l’essenza stessa di Lollo. Quella partita ovviamente non è finita bene, niente play off. Ma quel giorno ho capito chi fosse Lorenzo Semprini e cosa volesse dire essere un Capitano.
Che cos’è un capitano del resto? Un leader, un condottiero, una guida? Con-durre, dal latino, con + ducere, “guidare insieme”. Per Lollo era importante soprattutto il “con”. Sin dal primo giorno di vita della sua squadra, era l’estate 2006. Un pugno di amici del liceo decide di dare vita all’ASC Fenice. Lollo è subito il capitano. E quella fascia non l’ha più lasciata, se non per cause di forza maggiore. Per lui la Fenice era tutto, era la sua creatura meravigliosa, da difendere contro le avversità, da mostrare con vanto, da onorare con impegno e dedizione costante, tanto da allenarsi anche dopo 12 ore di guardia in ospedale, quando la testa gira e le gambe si appesantiscono. Il gruppo prima di tutto, anche degli impegni personali. Metteva una carica da brividi, quel “daje noi forza” che aveva coniato come squillo di tromba faceva scorrere il sangue nelle nostre vene a velocità supersonica, dopo quell’urlo non eravamo più noi stessi. Sapeva spronare il compagno se non si impegnava a dovere, ma aiutava chi era in difficoltà. Aveva sempre una parola in più per chi trovava poco spazio in campo o non era in piena forma. Era il fratello maggiore di tutti noi.
Lollo non solo amava il gruppo, ma aveva la capacità di crearlo. Coinvolgente, socievole, amante della compagnia e delle belle serate. Ogni nuovo arrivato era subito trascinato dentro. Creava dei riti, delle tradizioni, che diventavano una costante dopo ogni partita, dal mangiare in quella data pizzeria ai tornei a FIFA la sera prima del match. Le partitelle all’autogrill quando si andava in trasferta nei paesi, le canzoni nella 500 rossa, le cene a casa sua dopo ogni vittoria a mangiare e bere e cantare. Era bello vincere non tanto per la classifica, quanto per la prospettiva dei festeggiamenti. Tutto questo lo aveva creato lui, aveva plasmato la bellezza dal nulla, aveva colorato le nostre vite.
Una data, 16 maggio 2009, per la prima volta nella sua storia la Fenice gioca uno spareggio valido per la promozione. Era nato tutto da una banda di amici ed ora il sogno può diventare realtà, la creatura meravigliosa di Lollo sta per spiccare il volo. E lo vedi ricevere palla al limite dell’area, quelle braccia larghe, sembra dire: venite con me, ragazzi non ho molto tempo, oggi dobbiamo realizzare qualcosa da ricordare per sempre. E in una frazione di secondo stoppa palla con il destro, si gira, tiro di sinistro, palla all’incrocio dei pali opposto. Pazzesco. E poi lo vedi battere il rigore decisivo, e segnarlo, e portare la squadra alla vittoria. Lollo faceva gol pesanti, i gol vittoria dell’ultimo minuto, era l’uomo delle grandi esultanze. Allo stesso tempo era regista, assist-man e bomber. Qualche volta se ne usciva con colpi di tacco poco funzionali, per la gioia del mister. Un classico numero 10 insomma. Era una persona mite, ma mentre giocava aveva lo sguardo della tigre. Con quegli occhi tagliava le gambe all’avversario e bucava le mani al portiere. Era la passione a trasformarlo. Per lo sport, per la squadra, per la vita. Una volta però la passione è stata tanta, troppa. Era un periodo in cui i risultati non arrivavano e lui non riusciva a dare l’apporto che desiderava. E così la sua passione si trasformò in rabbia, la sua protesta divenne incontenibile. E l’arbitro lo mandò negli spogliatoi, per molto tempo, 3 anni per l’esattezza.
Così è finita un’epoca, eravamo orfani, quella creatura meravigliosa aveva perso la sua linfa vitale, la sua essenza. Non posso dimenticare il suo sguardo dietro la rete di recinzione del campo: veniva a vedere tutte le partite. Gli occhi della tigre ora erano persi nel vuoto, nei ricordi. Essere così vicino al tuo sogno, annusarne l’odore, sfiorarlo senza poterlo afferrare. Guardare il mondo attraverso un vetro, un mondo che lui stesso aveva creato. Per 3 lunghi anni ho visto quello sguardo ed ogni volta mi si gelava il sangue. Da tifoso Lollo non smetteva di caricare la squadra, come un capo ultras. Ricordo l’emozione di vederlo in tribuna alle Final Four di Coppa Lazio con quello striscione “MAI OSPITI”, preparato dopo una notte in bianco in ospedale. Veniva a tutti gli allenamenti, nonostante la lunga squalifica. E si allenava con più foga di noi, che ci giocavamo il campionato. Anche se il sabato faceva solo il tifoso, anche se aveva altro da fare, anche se ormai era finita. Lui c’era, sempre. Ripensandoci, in quei giorni abbiamo capito molto: Lollo per noi ci sarebbe sempre stato…
Ma la capacità di un grande uomo è quella di reinventarsi nei momenti difficili. E lui si ritagliò un ruolo inedito. Allenatore. E così fece una stagione sulla panchina della Nova Phoenix. Neanche a dirlo, il Lollo allenatore era un po’ come il Lollo capitano, forse più impostato, per dare comunque un tono di serietà. Ma la sostanza era quella, incitare, caricare il gruppo, coinvolgere, organizzare cene e abbracciarsi dopo i gol. Ancora una volta gettò tutto sé stesso in questo nuovo ruolo. Quando i risultati non erano buoni stava male. Più che una valvola di sfogo, era una missione anche quella. Ma si vedeva lontano un miglio che l’erba sintetica di quel dannato campo la voleva divorare.
Un’altra data, 5 novembre 2016. Siamo in vantaggio di un gol, la partita è ancora tirata. A metà del secondo tempo il cambio più atteso. Entra Lollo. E’ tornato. E’ lui. Sembra non sia successo niente nel frattempo, sembra un giorno come tanti. Tanto che dopo 3 minuti già fa gol. Esulta, allarga quelle braccia, sembra dire: venite ancora con me, sono di nuovo qui, con voi, e sono felice. Ma il ritorno di Lollo dura una manciata di giornate. Il lavoro lo costringe a trasferirsi a Bergamo per qualche mese. Ancora una separazione, ancora lontani. Fa male anche stavolta, ma dai, alla fine si tratta di poco tempo. Lollo non riesce a stare lontano dai campi, non ora che è tornato a divertirsi. E così inizia la sua avventura nel Bergamo calcio a 5 in serie B. In poco tempo si ambienta, inizia a giocare, a vincere. Diventa subito parte del gruppo, tutti lo amano. Ha ricreato lo stesso ambiente familiare anche a chilometri da casa, con persone mai viste prima, è entrato in dinamiche sconosciute diventandone parte, continua a trasformare in oro tutto ciò che tocca. Con il Bergamo ottiene la salvezza e soprattutto un altro legame forte: un gruppo straordinario che gli è rimasto sempre accanto.
Ogni volta che entro in campo lo vedo ancora. E’ sempre lì a suonare la carica, a proteggere palla, a dribblare l’avversario, a recuperare palla in difesa, a lanciare il pressing, ad incazzarsi con l’arbitro. Il colore che ha dato a questo sport non va più via, nonostante tutto: gli allenamenti alle 10 di sera, i cori negli spogliatoi, la birra dopo ogni vittoria. Ha stampato su ognuno di noi il suo marchio indelebile. Ha infuso dentro di noi il senso della sua battaglia: la battaglia di un uomo che stava male ma curava gli altri, che non aveva tempo e per questo lo viveva al massimo, che portava sulle spalle un peso ma appariva così leggero. Con quelle braccia larghe, sembra dire: venite con me, vi insegno a volare…